Le convinzioni sbagliate, ultima parte

Dopo i primi 3 articoli (Le fake news sulla plastica, Le convinzioni sbagliate – parte prima, Le convinzioni sbagliate – parte seconda) in cui abbiamo approfondito ed analizzato le convinzioni sbagliate in cui ci imbattiamo ogni volta che parliamo o sentiamo parlare di plastica, siamo ormai giunti alla conclusione del nostro percorso. In questo articolo infatti vogliamo approfondire altre due tematiche che riguardano da vicino la brutta reputazione della plastica ed in fine tirare le somme cercando di dimostrare quanto in realtà sia un materiale utile se non addirittura indispensabile nella nostra vita.

Fake news n. 5: La plastica resiste negli ambienti centinaia o migliaia di anni.

Alcuni affermano, senza alcuna prova, che la plastica dura fino a mille anni nell’ambiente. Come possono saperlo se la plastica esiste da poco più di cento anni? La verità è che la plastica, a meno che non sia addizionata con stabilizzatori o antiossidanti, all’aperto si degrada in pochi anni. Essendo composta da carbonio come tutti gli altri materiali organici, la sua decomposizione attraverso reazioni chimiche ha una velocità simile a quella di foglie, cibo, cotone e così via. È per questo motivo che per renderla più stabile e durevole, per molte applicazioni si è dovuto ricorrere all’utilizzo di stabilizzanti sempre più all’avanguardia.

Spesso inoltre si sente dire che la plastica non si degrada mai realmente ma che si frammenta in microplastiche. Perché mai un materiale dovrebbe degradarsi fino ad una certa misura per poi fermarsi? In realtà la plastica si degrada più velocemente man mano che i pezzi diventano più piccoli perché l’ossigeno riesce a penetrarla più facilmente. Se quindi oggi possiamo utilizzare la plastica nei più svariati ambiti è grazie alla scoperta di additivi che fanno sì che duri nel tempo. Queste sostanze però non la rendono eterna ma ne allungano la vita, altrimenti senza additivi si degraderebbe troppo in fretta grazie all’ossigeno.

Fake news n. 6: La plastica consuma le risorse del pianeta.

Le risorse del pianeta non sono infinite e l’uomo le sta esaurendo più velocemente di quanto riescano a rigenerarsi. Una delle risorse che viene maggiormente consumata è il petrolio che è una fonte non- rinnovabile. Anche se la plastica viene prodotta a partire da esso, non è responsabile del suo esaurimento. Dei circa 80 milioni di barili che vengono estratti ogni giorno infatti, il 90 % viene utilizzato per produrre energia (elettrica e termica) e carburanti, il 10% invece viene trasformato dall’industria chimica in fertilizzanti, solventi, concimi, additivi alimentari e farmaci. In questo 10% rientra, seppur in minima parte, anche la plastica (4 – 6%). Considerata quindi la frazione minima di petrolio che viene trasformata per produrre la plastica, risulta chiaro che per poter salvaguardare le risorse del pianeta, il primo passo dovrebbe essere quello di trovare soluzioni alternative all’energia elettrica e termica ed ai carburanti derivati dal petrolio.

A conclusione di questo percorso ci auguriamo di aver sufficientemente spiegato come, contrariamente alla fama di essere il problema principale per l’inquinamento del pianeta e la causa a tutti i rifiuti, la plastica sia in realtà un materiale di cui difficilmente si può fare a meno. Il suo impatto ambientale sarebbe minimo se non fosse per la cattiva gestione che ne fa l’uomo, creando un effetto devastante. È pertanto doveroso e fondamentale che ognuno faccia la sua parte nella salvaguardia dell’ecosistema attraverso la ricerca di informazioni veritiere e supportate da dati scientifici onde evitare mistificazioni e falsi allarmismi che creerebbero più danni che benefici al pianeta. Dopotutto, come detto anche all’inizio, “Senza dati sei solo una persona con un’opinione” Cit. W. Edwards Deming e purtroppo le opinioni di persone disinformate sono pericolose per il nostro futuro.

 

Fonti:       The plastic paradox del dott. Chris DeArmitt,
                Un approccio scientifico al problema della plastica – ing. Andrea Azzini – articolo su rePlanet

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